Sull'intero romanzo aleggia il secondo libro della poetica di Aristotele.
Già la prima volta che Guglielmo mise piede nello scriptorium ci fu un acceso dibattito riguardo il valore e la funzione della risata,il quale venne brutalmente troncato dal “venerabile” Jorge.
La stessa presenza dei francescani potrebbe essere inteso come un rimando all'argomento, infatti, San Francesco viene spesso soprannominato “giullare di Dio”, per sottolineare la sua concezione armonica ed ottimistica del creato e del Creatore. Proprio il santo compose il "Cantico delle creature" con la funzione ideologica di opporsi al pessimismo apocalittico della tradizione millenaristica, mettendo in luce il sereno rapporto che intercorre fra uomo e Dio.
Queste teorie sono in profondo contrasto con quelle del vecchio cieco, il quale teme che l'avvento dell'Anticristo sia ormai prossimo.
La sua più grande paura è che il riso non sia più circoscritto a determinate classi sociali, ma paventa che possa diventare un mezzo per liberare i contadini non solo dalla rigida liturgia e tradizione ecclesiastica, ma perfino dal timor di Dio.
Anche questa volta le due visioni sono opposte: Francesco ritiene che la situazione sociale debba essere vissuta dall'uomo come una condizione naturale, libera da vincoli gerarchici, crede fermamente nell'idea di fratellanza e di rapporto armonioso con la natura e con Dio. Ripudia l'idea di una divinità vendicativa e nei confronti della quale si debba avere timore.
Jorge non nega che il riso faccia parte della forma umana, come gli fece notare Guglielmo il primo giorno, infatti, viene anche usato dalla Chiesa (risus paschalis), tuttavia, tutto ciò avviene entro limiti temporali ben definiti, come il Carnevale.
Per l'anziano è fondamentale che rimanga una prerogativa dei ceti meno abbienti; se però si scoprisse che perfino il sommo Aristotele ha elaborato un testo elogiando il riso, anche i dotti potrebbero apprezzarlo, fino al punto da elevarlo ad una forma di arte.
Questo processo danneggerebbe profondamente la religione medievale, poiché l'uomo no avrebbe più bisogno di un Dio a cui appellarsi nei momenti di bisogno, nel quale riporre la propria fiducia provvidenzialistica.
Nel dialogo finale fra Guglielmo e Jorge, il francescano sostiene che lui sia il demonio, questo perché il venerando è totalmente subordinato all'auctoritas, non è in grado di mettere in dubbio o anche solo di rivalutare le Sacre Scritture. L'inglese continua asserendo che il diavolo risiede“nell'arroganza dello spirito, nella fede senza sorriso e nella verità che non viene mai presa in dubbio.”
Il fatto che sia cieco potrebbe simboleggiare la sua incapacità di accettazione del progresso scientifico, vive nel mondo della sua giovinezza, prima che arrivasse prematuramente nel “mondo delle tenebre”.
Guglielmo non può concepire ciò, per lui ridere significa provare un momento di evasione o amore per il sapere, è un simbolico alleato per l'emancipazione dal dogmatismo ed è fermamente convinto che “il sonno della ragione [provochi] mostri”.
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| Saturno che divora i suoi figli, Francisco Goya |