venerdì 20 maggio 2016

Arrivederci

Siamo ormai giunti al termine del nostro viaggio culturale, nel corso del quale abbiamo potuto constatare che esistono svariati livelli  di lettura ed interpretazione del romanzo.
Abbiamo sviscerato l'aspetto filosofico, quello storico, sociale; abbiamo analizzato il contesto politico ed esaminato analogie con altre opere.
Tuttavia, non va dimenticata la componente ludica , il divertimento che Eco ha cercato di trasmettere ai lettori, il coraggio che questo saggista ha avuto nel cimentarsi in un genere a lui parzialmente estraneo.

Spero che anche per voi la lettura del romanzo e del blog siano stati un interessante punto di partenza per un' ulteriore riflessione personale e che vi abbiano avvicinato alla cultura e mentalità medievale, illustrandone le principali caratteristiche e contraddizioni.
Alla prossima!

martedì 17 maggio 2016

La teoria del caos

La mancanza di un apparente ordine dell'universo ci demoralizza e ci fa sentire privi di senso; anche Guglielmo sperimentò questo stato d'animo, dopo aver finalmente risolto l'arcano.
Lui stesso afferma di essere sconcertato: è riuscito a smascherare il colpevole, ma era convito che i delitti fossero collegati all'Apocalisse di Giovanni e che seguissero il ritmo delle sette trombe evangeliche.
Proprio il fatto di essere riuscito, comunque, a scoprire Jorge, alimenta in lui la consapevolezza della possibilità di raggiungere i propri obiettivi senza la necessità di seguire il percorso “corretto”.
Il frate si rende conto del fatto che gli avvenimenti siano spesso correlati tra loro da nessi non intellegibili all'uomo, che non possono quindi essere conosciuti, per fine o acuta che sia la mente umana.
Questa “teoria del caos” si ricollega alla filosofia scettica di Arcesilao, il quale sostiene che sia impossibile per l'intelletto umano conoscere una realtà che trascenda il mondo sensibile, sebbene non ne neghi l'esistenza.
Questa idea è anche riconducibile alle tesi del già citato Guglielmo d'Occam che sostiene che ogni tentativo, basato sulla razionalità, di conoscere la verità risulta inutile.
Tuttavia, per un empirista come Guglielmo, la dimostrazione di tale teoria gli provoca una profonda delusione e lo rende tristemente consapevole della natura fallace dell'uomo.
Ciò traspare anche dall'ultimo dialogo con l'ispanico , infatti, Guglielmo afferma quasi disilluso:”Sono sconcertato, ecco tutto. Ma non importa. Sono qui.”
Già dalla laconicità delle frasi si delinea uno stato di violento contrasto interiore, analizzando l'ultimo periodo, trapela anche la volontà del francescano di esprimere un dato difficilmente confutabile che costituisce una delle uniche sicurezze che gli sono rimaste.
Il ponte di  Eraclito, Magritte


Guglielmo da Baskerville, fra semiotica e filosofia


Dovete sapere, miei cari lettori, che Umberto Eco, oltre che aver pubblicato romanzi di successo, ha anche scritto numerosi saggi di semiotica e filosofia.
L'aspetto semiotico del romanzo trapela già dal primo capitolo, quando Guglielmo riesce ad estrapolare interessanti conclusioni solo attraverso l'acuta osservazione di segni e particolari dell'ambiente circostante, intuendo il nome del cavallo ed il luogo in cui si nascose.
Sotto un certo punto di vista ogni romanzo giallo si avvale di essa, poiché ogni ispettore conduce le proprie indagini basando le proprie congetture su indizi e sull'interpretazione di segni lasciati dal criminale (σημεῖον).
La personalità e l'istruzione permettono a Guglielmo di essere un acuto osservatore: egli è per natura curioso; inoltre, lo stretto rapporto che i francescani hanno con la natura, e gli insegnamenti dei suoi maestri empatici (Ruggero Bacone e Guglielmo d'Ockham) fanno di lui un ottimo investigatore.
Abbiamo potuto notare la sua avversione al dogmatismo durante l'ultimo discorso con Jorge, questa potrebbe derivare dal fatto che Ockham fosse un esponente della filosofia scettica e che quindi tendesse a negare la possibilità di una conoscenza o verità che trascende l'esperienza. Il teologo di Oxford sostiene inoltre che la conoscenza fosse solo empirica e che l'intelletto umano dovesse liberarsi delle astrazioni (rasoio di Occam).
Allo stesso tempo Guglielmo si ritiene un fervente ammiratore delle teorie empiristiche di Ruggero Bacone, anch'egli frate francescano e filosofo inglese.
Egli sosteneva che si potesse raggiungere la verità soltanto nell'ambito e nella virtù della matematica.
Sebbene ad una lettura superficiale le due teorie filosofiche possano sembrare molto affini, non è così, infatti, anche Adso, scrivendo a posteriori, non sarà in grado di concepire la convivenza sincretica di queste differenti ideologie in un solo uomo.
La teoria del rasoio sostiene l'inutilità del formulare più ipotesi per spiegare un dato fenomeno, quando quelle iniziali sono sufficienti, tuttavia, ciò assume un nuovo significato se combinato con la sua visione volontaristica, seconda la quale il mondo è stato creato da Dio esclusivamente sulla base della volontà e non della ragione; quindi, ogni tentativo di conoscenza ed indagine della realtà che si basi su un pensiero razionale (come la matematica tanto contemplata da Bacone) perderebbe di senso.
Se voi lettori doveste avere altre opinioni, non esitiate a farmelo sapere.

Ruggero Bacone

Guglielmo d'Ockham (o Occam)

Il riso: due visioni contrapposte

Sull'intero romanzo aleggia il secondo libro della poetica di Aristotele.
Già la prima volta che Guglielmo mise piede nello scriptorium ci fu un acceso dibattito riguardo il valore e la funzione della risata,il quale venne brutalmente troncato dal “venerabile” Jorge.
La stessa presenza dei francescani potrebbe essere inteso come un rimando all'argomento, infatti, San Francesco viene spesso soprannominato “giullare di Dio”, per sottolineare la sua concezione armonica ed ottimistica del creato e del Creatore. Proprio il santo compose il "Cantico delle creature" con la funzione ideologica di opporsi al pessimismo apocalittico della tradizione millenaristica, mettendo in luce il sereno rapporto che intercorre fra uomo e Dio.
Queste teorie sono in profondo contrasto con quelle del vecchio cieco, il quale teme che l'avvento dell'Anticristo sia ormai prossimo.
La sua più grande paura è che il riso non sia più circoscritto a determinate classi sociali, ma paventa che possa diventare un mezzo per liberare i contadini non solo dalla rigida liturgia e tradizione ecclesiastica, ma perfino dal timor di Dio.
Anche questa volta le due visioni sono opposte: Francesco ritiene che la situazione sociale debba essere vissuta dall'uomo come una condizione naturale, libera da vincoli gerarchici, crede fermamente nell'idea di fratellanza e di rapporto armonioso con la natura e con Dio. Ripudia l'idea di una divinità vendicativa e nei confronti della quale si debba avere timore.
Jorge non nega che il riso faccia parte della forma umana, come gli fece notare Guglielmo il primo giorno, infatti, viene anche usato dalla Chiesa (risus paschalis), tuttavia, tutto ciò avviene entro limiti temporali ben definiti, come il Carnevale.
Per l'anziano è fondamentale che rimanga una prerogativa dei ceti meno abbienti; se però si scoprisse che perfino il sommo Aristotele ha elaborato un testo elogiando il riso, anche i dotti potrebbero apprezzarlo, fino al punto da elevarlo ad una forma di arte.
Questo processo danneggerebbe  profondamente la religione medievale, poiché l'uomo no avrebbe più bisogno di un Dio a cui appellarsi nei momenti di bisogno, nel quale riporre la propria fiducia provvidenzialistica.
Nel dialogo finale fra Guglielmo e Jorge, il francescano sostiene che lui sia il demonio, questo perché il venerando è totalmente subordinato all'auctoritas, non è in grado di mettere in dubbio o anche solo di rivalutare le Sacre Scritture. L'inglese continua asserendo che il diavolo risiede“nell'arroganza dello spirito, nella fede senza sorriso e nella verità che non viene mai presa in dubbio.”
Il fatto che sia cieco potrebbe simboleggiare la sua incapacità di accettazione del progresso scientifico, vive nel mondo della sua giovinezza, prima che arrivasse prematuramente nel “mondo delle tenebre”.
Guglielmo non può concepire ciò, per lui ridere significa provare un momento di evasione o amore per il sapere, è un simbolico alleato per l'emancipazione dal dogmatismo ed è fermamente convinto che “il sonno della ragione [provochi] mostri”.
Fatemi sapere la vostra opinione a riguardo ed esprimete il vostro voto nel sondaggio del blog!
Saturno che divora i suoi figli, Francisco Goya






Analogie con "I promessi sposi"


Buongiorno lettori, vorrei ora esporvi una riflessione personale che ha preso piede dentro me nel corso della lettura del libro di Eco.
Nell'incipit del proprio romanzo Eco sostiene di aver ritrovato un antico testo, appartenente ad un monaco benedettino,e di averlo successivamente copiato e tradotto del francese.
Dal nome del proemio, ovvero “Naturalmente, un manoscritto”, si potrebbe pensare che lo scrittore alessandrino si riferisca al Manzoni, il quale dichiara in ugual modo di aver trovato un antico testo e di averlo semplicemente riscritto in un italiano meno ampolloso.
Riflettendoci, non sono pochi gli elementi comuni fra le due opere:
prima di tutto la trama risulta quasi accessoria, uno strumento per poter trattare e camuffare argomenti più elevati, si pensi ad esempio alla protesta nei confronti del dominio spagnolo presente nel romanzo di Manzoni .
Per poter comprendere a fondo entrambi i libri risulta,quindi, necessario trascendere il livello letterario per raggiungere quello allegorico.
Lo stesso Eco afferma che “i libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte ad un libro non dobbiamo chiederci cosa dice ma cosa vuole dire”
Inoltre, in entrambi gli scritti, non manca certo lo spazio per alcune digressioni di carattere storico-politico o per minuziose descrizioni.
Sono entrambi romanzi storici al cui interno si sviluppa un Bildungsroman (romanzo di formazione): così come Renzo, nel corso del romanzo, raggiunge la maturità e diviene più responsabile, così Adso, che sostituisce il narratore onnisciente manzoniano, completa il suo tortuoso apprendistato e impara dal suo maestro a sviluppare dei percorsi logico-deduttivi. Si pensi all'ingenuità e alla scarsa indipendenza che lo caratterizzano all'inizio del romanzo, che vengono però superate nei capitoli finali:Adso suggerirà al suo acuto precettore la soluzione dell'enigma e formulerà diverse ipotesi riguardo il comportamento dell'abate Abbone.
Sono presenti anche altri fini richiami fra i due scritti: il nome dell'abbazia non viene reso noto, perché Eco sostiene che non sarebbe pio e conveniente; questo ,infondo, è lo stesso motivo che spinse Manzoni a non svelare la vera identità dell'Innominato.
Inoltre, entrambi gli edifici sono situati in luoghi austeri e ad un'elevata altitudine.
Infine, al termine del romanzo, la figura di Malachia viene osservata sotto una nuova luce, non appare più il bibliotecario rigido e misterioso, ma solo un pover uomo assoggettato a Jorge che viene paragonato ad un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro, proprio come Don Abbondio.
 Il castello dell'innominato, F. Gonin

lunedì 16 maggio 2016

Situazione politica, economica e religiosa


Per iniziare vorrei inquadrare la situazione dell'Italia settentrionale sotto l'aspetto evenemenziale e  politico, per comprendere al meglio le complesse dinamiche del romanzo.
Novembre 1327, la Chiesa cattolica ha già subito lo spostamento della propria sede da Roma al sud della Francia da una ventina di anni.
Tutto ebbe inizio quando Filippo IV, detto il Bello, opponendosi alla bolla papale “clericis laicos ”, riuscì ad affermare la propria indipendenza dalla Chiesa di Roma e ad imporre la propria autorità su essa, al punto da rapire il pontefice in carica, Bonifacio VIII.
Il papa aveva riproposto la dottrina teocratica di Innocenzo III e pretese,attraverso il documento citato, che i sovrani non imponessero tasse agli ecclesiastici, previo la scomunica.
Per questo motivo il monarca si oppose al Papa e, dopo aver prevalso con la forza su di lui, fece spostare la sede papale e garantì l'elezione di sette papi francesi, i quali erano praticamente subalterni del re.
Come è noto questo fu un periodo in cui la spiritualità perse importanza a favore ,invece,del lusso e della corruzione: nella curia si vendevano cariche ecclesiastiche ed indulgenze; per questo motivo venne definita ”empia Babilonia” da Francesco Petrarca.
Ora risulta chiara la causa dei contrasti ideologici e  dell'incontro fra le due legazioni: i francescani sostenevano tesi pauperistiche le quali,ovviamente, non venivano accettate dei delegati papali.
In questo periodo di confusione, si svilupparono anche alcune dottrine ritenute eretiche, come quella di Fra Dolcino, le quali desideravano ardentemente che la Chiesa operasse una riforma spirituale e che ritornasse alla proprie origini.
La curia papale ,bramosa di mantenere i propri privilegi e ricchezze, decise di servirsi dello strumento dell'Inquisizione  per sterminarli e far crescere la paura nei poveri contadini (come Salvatore) che spesso prendevano parte a queste rivolte, non tanto perché erano ferventi cattolici e non erano d'accordo con l'ideologia papale, ma perché venivano convinti da abili oratori e vedevano in queste rivolte occasioni per sfogare la propria rabbia, cresciuta nei confronti di una Chiesa che viveva nel lusso,e per migliorare la propria condizione economico-sociale.
Mentre Bernardo Gui incarna l'aspetto più feroce e rapace dell'Inquisizione, Guglielmo pare, invece, essersi accorto del sottilissimo limite che intercorre fra l'eresia e  la corretta dottrina e anche dei motivi reali che sono alla base delle rivolte; è proprio questo il motivo per il quale egli abbandonerà l'incarico da inquisitore.
Spero che dopo questa breve precisazione risulti chiaro l'assetto politico, fondamentale per la comprensione del romanzo e degli articoli seguenti.
Palazzo papale di Avignone

domenica 15 maggio 2016

Introduzione:


Buongiorno a tutti,
in questo blog, dedicato al romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa”, verranno analizzati alcuni aspetti particolari e peculiari del testo.
Il libro è ambientato nel medioevo, in un'anonima abbazia benedettina di ordine cluniacacense dell'Italia settentrionale, nella quale è previsto l'incontro fra alcuni frati francescani, capeggiati da Fra Michele, ed una delegazione papale.
L'argomento cardine dell'incontro sarà la la povertà: di Cristo e della Chiesa.
Come scopriremo nei prossimi articoli la presenza dei frati francescani e della loro ideologia sarà essenziale per lo sviluppo della "metatrama"; con questo termine voglio indicare tutti gli aspetti del romanzo che non vengono trattati direttamente, o che sembrano non influirne lo sviluppo, ma che in realtà ne sono alla base.  
Un aspetto ricorrente, che verrà trattato nel prossimo post in quanto costituisce lo sfondo del romanzo, riguarda le correnti eretiche che si svilupparono fra la Francia meridionale e il nord dell'Italia  proprio in questo periodo.
Si può immediatamente notare che sarebbe assai sminuente definire questo libro come un semplice romanzo giallo medievale, poiché Eco l'ha abilmente riempito di minuziose descrizioni,di discussioni filosofiche e di brillanti dialoghi riguardanti tematiche che, talvolta, possono essere considerate attuali.
Ho scelto di intitolare il blog “ Adso da Melk” perché lo scrittore aveva espresso il desiderio di chiamarlo in questo modo, ma la sua proposta fu respinta dall'editore, i quali generalmente non accettano titoli così neutri. 
Spero che il blog sia di vostro gradimento, vi auguro buona lettura!