martedì 17 maggio 2016

Analogie con "I promessi sposi"


Buongiorno lettori, vorrei ora esporvi una riflessione personale che ha preso piede dentro me nel corso della lettura del libro di Eco.
Nell'incipit del proprio romanzo Eco sostiene di aver ritrovato un antico testo, appartenente ad un monaco benedettino,e di averlo successivamente copiato e tradotto del francese.
Dal nome del proemio, ovvero “Naturalmente, un manoscritto”, si potrebbe pensare che lo scrittore alessandrino si riferisca al Manzoni, il quale dichiara in ugual modo di aver trovato un antico testo e di averlo semplicemente riscritto in un italiano meno ampolloso.
Riflettendoci, non sono pochi gli elementi comuni fra le due opere:
prima di tutto la trama risulta quasi accessoria, uno strumento per poter trattare e camuffare argomenti più elevati, si pensi ad esempio alla protesta nei confronti del dominio spagnolo presente nel romanzo di Manzoni .
Per poter comprendere a fondo entrambi i libri risulta,quindi, necessario trascendere il livello letterario per raggiungere quello allegorico.
Lo stesso Eco afferma che “i libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte ad un libro non dobbiamo chiederci cosa dice ma cosa vuole dire”
Inoltre, in entrambi gli scritti, non manca certo lo spazio per alcune digressioni di carattere storico-politico o per minuziose descrizioni.
Sono entrambi romanzi storici al cui interno si sviluppa un Bildungsroman (romanzo di formazione): così come Renzo, nel corso del romanzo, raggiunge la maturità e diviene più responsabile, così Adso, che sostituisce il narratore onnisciente manzoniano, completa il suo tortuoso apprendistato e impara dal suo maestro a sviluppare dei percorsi logico-deduttivi. Si pensi all'ingenuità e alla scarsa indipendenza che lo caratterizzano all'inizio del romanzo, che vengono però superate nei capitoli finali:Adso suggerirà al suo acuto precettore la soluzione dell'enigma e formulerà diverse ipotesi riguardo il comportamento dell'abate Abbone.
Sono presenti anche altri fini richiami fra i due scritti: il nome dell'abbazia non viene reso noto, perché Eco sostiene che non sarebbe pio e conveniente; questo ,infondo, è lo stesso motivo che spinse Manzoni a non svelare la vera identità dell'Innominato.
Inoltre, entrambi gli edifici sono situati in luoghi austeri e ad un'elevata altitudine.
Infine, al termine del romanzo, la figura di Malachia viene osservata sotto una nuova luce, non appare più il bibliotecario rigido e misterioso, ma solo un pover uomo assoggettato a Jorge che viene paragonato ad un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro, proprio come Don Abbondio.
 Il castello dell'innominato, F. Gonin

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